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CAPITOLO XXXI

Di male in peggio. Miei riflessi appoggiati alla veritá.

Privato d’ogni dominio sull’opera mia, mi chiusi al silenzio e all’aspettazione di ciò che aveva predetto.

Vidi il Sacchi ebbro dall’aviditá di lucro e giulivo, non so se per aver sopraffatto me o per aver superati gli ostacoli tentati dal Gratarol. Egli andava consegnando le parti agli attori del dramma e sollecitando la produzione nel teatro.

Io non diceva parola e solo tra me andava annoverando con amarezza quante false allusioni averebbero dedotte gli spettatori sedotti da un’illusione giá confermata generalmente in pregiudizio del Gratarol. Averei voluto poter cancellare nel dramma tutti i motivi che mal interpretati averebbero cagionate coteste false allusioni. Cosa resa impossibile.

Ma se dal canto mio nodriva l’urbano desiderio di scemare la illusione e le allusioni, il Gratarol dal canto suo niente ommetteva di quanto era anche di soverchio per far macchinare secretamente da chi egli offendeva quanto poteva ridurre cotesta illusione e coteste allusioni al grado supremo in suo discapito. Sfortunato chi ha de’ nimici in simili circostanze!

Credo giá che quel signore non facesse altri passi d’opposizione al mio dramma oltre i giá fatti, i quali furono secreti come ho qui sopra narrato. Egli però non mancava di esagerazioni pericolose sull’avvenuto, sopra le quali esagerazioni che furono meno secrete de’ di lui passi, non isdegnerá chi ha la flemma di leggere queste Memorie ch’io faccia alcuni riflessi da osservatore ch’io credo giusti.

In cinqu’anni e piú ch’io era stato amico, compare, consigliere e sostenitore della Ricci, ella non era mai divenuta il mio pappagallo, né l’aveva mai udita far l’eco o proferire una delle mie poche parole, uno de’ miei sentimenti, uno de’ miei