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292 memorie inutili


Né certamente si può condannare la voce del popolo, voce di Dio, che affermava essere voi caduto in una frenesia, perocché appena rifiutata dal tribunale supremo la vostra denunzia contro me, correste invasato e da vero frenetico nel grembo della solita amica attrice, molla principale della vostra miseria, coll’ingegnoso suggerimento che una di lei finta caduta da una scala fosse sostituita alla supplica delatoria dagl’inquisitori di Stato rifiutata.

Un tale argutissimo strattagemma, parto della vostra mente rovesciata, eseguito da «eroina», come dite voi, dalla attrice alleata, alla quinta recita della commedia (recita che doveva per le mie preghiere esser l’ultima), e strattagemma eseguito la sera a teatro pieno di spettatori sul punto dell’alzare il sipario; non abbiate rossore, caro amico, a concedere che un solo frenetico poteva far usare un tal strattagemma puramente per far accrescere e raddoppiare il vostro martirio.

Perocché era naturale il pubblico tumulto avvenuto in un teatro calcato; era naturale un ricorso a’ capi dell’Eccelso del patrizio padrone del teatro per lo scandalo e per il pericolo cagionato, ricorso fatto colle fedi giurate de’ chirurghi, che la attrice vostra amica, che voi sacrificaste da buon amico, era sanissima e che la caduta non era che un vostro suggerimento; era naturale che voi diveniste l’argomento di tutte le lingue; era naturale la mortificazione alla povera comica d’un ordine de’ capi dell’Eccelso ch’ella fosse condotta da un fante al suo dovere in teatro; ed era naturale la soggezione in me di tre tribunali de’ piú temuti, concitati da’ vostri capigiri ond’io dovessi chiudermi ne’ miei panni e rimanere tacito e inoperoso per voi e per me sul fatto del proseguimento delle recite d’una commedia, ch’era piú odiosa a me che a voi e sopra alla quale m’era stata levata ogni facoltá.

Per tutti i passi che faceste e per tutti i strattagemmi che usaste col vostro acume maraviglioso, per troncarvi una reale sciagura da voi tessuta, io non saprei assomigliarvi che a quel balordo ch’essendo sopra un cavallo ostinato nel corso, pretendeva di fermarlo colle urla, col crollare della briglia e colle picchiate dello scudiscio.