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lettera confutatoria 263

da Stockholm verso la infelice non piú madama Santina ma vostra moglie, da voi abbandonata in Venezia nelle angoscie: «Povera donna! mi fai pietá!», senza mai confessare che voi foste la legittima cagione di tutti i disordini e di tutti i mali.

Non incollerite, caro Pietro Antonio, s’io fo qualche riflesso cordiale sopra a due squarci della vostra Narrazione apologetica, l’uno posto alla pagina 11, l’altro posto alla pagina 118 del vostro libro stampato in Stockholm, da’ quali due squarci parmi che traluchi anche l’origine d’una gran parte delle vostre disgrazie.

Ecco il primo vostro squarcio: «Mi fo anzi gloria d’avere costantemente sorpassati i precetti d’una falsa morale, che m’avrebbe voluto alieno da’ permessi piaceri, dimesso ne’ vestiti, milenso ne’ circoli e insomma tutto ricoperto da capo a piedi di quella sudicia impostura che piú d’ogn’altro paese della terra ha fortuna in Venezia e ch’io abborrisco e abborrirò in eterno. Sí, pubblicamente amai anzi moltissimo e spettacoli e giuochi e conviti e mode e bel sesso; ma l’amor de’ piaceri non mi fe’ mai scordare la professione d’onest’uomo né mai mi distrasse da qualunque dover del mio uffizio».

Ecco il secondo vostro squarcio: «Non mi riputerò nemmeno degno di biasimo se dopo d’aver sempre contribuito in piú che convenienti misure allo stato comodo e decoroso d’una moglie, non restandomi alcun altro immaginabile dovere di famiglia, pensai piuttosto a donare e a spendere il mio in allegro vivere, di quello che a pesare sulla stadera degli avari il prezzo de’ miei permessi piaceri».

Voglio credere che sin a tanto che avete potuto, abbiate «contribuito con piú che convenienti misure allo stato comodo e decoroso della vostra moglie». Un onest’uomo come voi siete doveva ciò fare. Doveva ciò fare un marito che aveva avuti da quella moglie ventinovemila ducati di dote; e doveva ciò fare un marito che sentendo evaporato e consunto l’affetto matrimoniale o il capriccio sensuale, voleva scorrere liberamente di voluttá in voluttá, di lascivie e dissipazioni, e non sofferire le moleste querimonie e le gelosie d’una moglie divenuta per