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parte terza - capitolo vi 239

d’essere a cavallo, ed era col diretano per terra e colle gambe all’aria.

Due zii Fumegalli, che per le loro divisioni possedevano due terze parti de’ nostri beni, in disperazione fecero un contratto di subaffittanza, senza alcuna facoltá, per dieci anni a de’ raggiratori, col patto che dessero loro due lire al giorno, pagassero poi l’affitto a’ padroni de’ beni, rinovellando e tenendo vivo un litigio interminabile.

Cotesti raggiratori acutissimi sedussero anche que’ Fumegalli che avevano cessi i beni co’ loro costituti volontari, come ingannati da mal consiglio, ad assumer tutti giudizio contro noi.

Con aspetto di protettori s’erano posti al possesso de’ poveri nostri beni. Pagarono le spese al magistrato per parte de’ Fumegalli, e sempre nascosti sotto i laceri gabbani di quelli, mi ripiantarono un fiero litigio come se niente fosse passato.

Presentarono una petizione chiedente la conferma dell’affittanza e il loro possesso ne’ beni e nelle fabbriche. Depositarono una somma di danaro per conto de’ fitti non pagati, colla riserva d’una liquidazione di conti. Promisero di dare una piegeria per gli affitti in avvenire. Rifiutarono il prezzo de’ miglioramenti. E tutto ciò sempre per nome de’ falliti Fumegalli, che in quella scrittura furono qualificati parte per poveri vecchi benemeriti, parte per povere vedove, parte per innocenti pupilli, i quali pupilli erano di venti, di ventiquattro, di trenta, di trentacinque, di quaranta e forse piú anni.

I miei avvocati risposero con una scrittura ciò che dovevano sulle circostanze, smascherando principalmente i raggiratori nascosti ne’ panni de’ Fumegalli, che introdotti al possesso de’ beni con de’ contratti illegittimi, carpiti a chi non aveva facoltá alcuna di farli, rinovellavano un inonesto litigio, giá terminato, a’ legittimi padroni de’ beni. Dopo varie proposizioni e risposte, confermato il giorno di trattare la causa nella prima istanza, i probi raggiratori si divertirono a lasciarmi spendere un buon numero di zecchini a porre in ordine gli avvocati, lasciando poi seguire un altro giudizio assente in nostro favore, indi appellando la sentenza alla Quarantia per eternare la lite e per ritenere il possesso de’ beni.