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parte terza - capitolo vi 237

dovessero que’ Fumegalli fittaiuoli pagare in Venezia ogn’anno per il giorno di san Martino in moneta veneta, indiminutamente e in una sol volta, quattrocento quarantatré ducati e quattro pesi di lino di rigaglia, e con la chiara sonora comminatoria che mancando i Fumegalli a questo preciso patto s’intendessero immediatamente decaduti dall’affittanza, salva loro la ragione de’ miglioramenti, se ne avessero fatti.

Stipulata quella scrittura, fu anche da due agrimensori rilevato lo stato delle piantagioni della campagna, lo stato delle fabbriche, e furono fatte le dovute consegne a’ fittaiuoli, in quel tempo pontualissimi.

Narro la dolente storia di quella fittanza che m’ha fatto girare il cervello degli anni parecchi, sapendo benissimo che la lettura deve annoiare, ma perché i proprietari apprendano dal nostro esempio a piuttosto donare le loro campagne che a stipulare fittanze d’una tal sorta.

Per pochi anni ebbi in Venezia il pagamento puntuale ne’ modi accordati, ma mancato di vita un vecchio zio di tre nipoti Fumegalli, uomo giudizioso, onorato e direttore di quella famiglia, incominciarono i miei fastidi sopra a quella maledetta affittanza a me assegnata per supplire agli aggravi annuali.

I tre nipoti, innestati anch’essi nell’affittanza, si divisero in tre parti i nostri beni, come fossero lor patrimonio. Uno di que’ tre nipoti, e il solo ammogliato, morí lasciando di sé otto figli maschi.

Cotesti otto figli si divisero in otto porzioni la terza parte de’ nostri beni, come se fossero ereditá propria, lasciata loro dal padre. Non trovai piú né fittaiuoli né fitti né beni. Le mie lettere, le mie intimazioni, le mie minacce erano baie. Qualche mio amico bergamasco dabbene, qualche ministro de’ pubblici rappresentanti a cui mi raccomandava, a forza di tempestare, d’impaurire, d’assediare, traeva alcuna somma, che mi veniva spedita in que’ tempi che Dio e i Fumegalli volevano. Le dissensioni, i vizi, la cattiveria avevano fatto d’una famiglia onorata una famiglia da dieci famiglie di miserabili senza onore, senza parola e ingegnosissimi nell’accusarsi l’un l’altro delle mancanze.