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parte terza - capitolo v 235

Tra avvogadori si rispettano per politica. — Bella politica! E la giustizia dove alberga? — diss’io. — Lasci a me la briga — rispose il cavaliere. — Farò ricorso a tal tribunale che spaccerá immediatamente questa scelleraggine.

Infatti il giorno dietro, un servo di quel patrizio mi recò le chiavi della mia casa e la fausta notizia ch’ella era vuota alla mia disposizione.

Corsi a ringraziare il cavaliere, e anche pieno di curiositá di sapere i modi da lui tenuti per favorirmi.

— Breve — diss’egli, — ho informato «messer grande», che comanda a tutta la masnada de’ sbirri, della faccenda e l’ho pregato a trovar maniera di dar la fuga alla canaglia abitatrice della sua casa. Egli ha spedito uno de’ suoi satelliti conoscente di quelle bagascie, che sotto aria d’amicizia, di caritá e secretezza le avvertisse che «messer grande» aveva avuto comando di farle legar tutte colle funi e condurre prigioniere.

Un tal secreto caritatevole avviso artificioso aveva spaventato per modo quel nefando drappello, che raccogliendo in fretta le masserizie era schizzato e fuggito.

Dopo aver riso alquanto del caso, chiedendo al cavaliere qual debito avessi a pagare verso i satelliti di «messer grande» per il benefizio ricevuto, e rispondendomi egli che niente doveva pagare, ringraziando io del grandissimo favore, sono partito riflettendo per via sull’avvenutomi co’ tribunali di giustizia e sopra «messer grande», generoso e ingegnoso giudice spacciativo.

S’io volessi narrare tutte le sciagure ch’io soffersi e che soffro co’ miei pigionali di Venezia, potrei formare una lunga filza di novellette piacevoli per chi non fosse ne’ panni miei.

Di tutti cotesti miei pigionali forse tre soli sentono lo stimolo del debito e dell’onore.

Possedo quattro case nella contrada di Santa Marta, appigionate per cinquantaquattro ducati di rendita annuale. Non fo che donare il credito non riscosso di tre in tre anni, cambiare affittuali, ridonare il credito, rifare questo giuoco di tempo in tempo con somma rassegnazione; e va a pennello il titolo ironico di questo capitolo: Fortune de’ non ricchi possidenti di beni.