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CAPITOLO III

Ciò che avvenne delle mie due composizioni teatrali:

Cimene Pardo e Figlia dell’aria.

Erano scorsi parecchi anni dopo le fastidiose vicende cagionatemi dall’infelice Gratarol, ch’io non aveva nessuna notizia della comica Ricci, passata nel teatro italiano di Parigi. Seppi che dopo esser stata a Parigi alcuni anni, essendo passato quel teatro in possesso de’ comici francesi, gl’italiani avevano dovuto partire, e che la Ricci era tornata a Venezia e accettata nella compagnia comica in San Giovanni Grisostomo.

Passata quella truppa nella primavera a recitare a Torino, mi pervenne una lettera della Ricci da quella parte.

Dopo il titolo di «compare», lessi in quella lettera ch’ella sapeva pur troppo di non meritare alcun favore da me, ma che conoscendo l’animo mio s’arrischiava di chiedermi in dono per la di lei compagnia l’opera ch’io aveva scritta, intitolata: Cimene Pardo, poiché giá la compagnia del Sacchi, ch’io era solito a beneficare, non esisteva piú. Prometteva diligenza e decorazione decente.

Un altr’uomo nel caso mio si sarebbe maravigliato nel ricevere quella lettera.

Protesto di non aver avuta nessuna maraviglia, perocché, oltre alla stima ch’io aveva della bravura di quella eccellente attrice, m’era scordato del tutto le strane peripezie ch’ella m’aveva cagionate e le aveva amplamente e sinceramente perdonato.

Era certo che qualche principio di falsa educazione, qualche pernizioso esempio, una leggerezza naturale muliebre, e soprattutto l’adulazione e la seduzione l’avevano fatta cadere negli errori da me perdonabili senza il menomo sforzo dell’animo mio.

Nessuno potrá credere a qual segno mi sia doluto il vedermi posto alla necessitá da alcuni fanatici ingiusti di pubblicare