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216 memorie inutili


Il romore che si faceva nella cucina m’attrasse a quella parte, e vidi un grandissimo fuoco a cui bollivano paiuoli, pignatte, tegami, e girava un lungo schidione di polli d’india, di pezzi di vitella e d’altro.

Il mastro di casa ceremonioso voleva pure ch’io vedessi la mia stanza, preservata chiusa con diligenza, e ch’entrassi in quella.

— Mi dica di grazia, mio signore — diss’io, — sino a qual ora dura questo tumulto?

— Ma veramente — rispose il mastro di casa, — per tre notti consecutive egli dura sino a giorno.

— Ho ben piacere — diss’io — d’aver avuta cosa al mondo ch’abbia potuto accomodare alla famiglia Bragadino. Ciò m’ha cagionato un onore. Riverisca le Eccellenze Loro. Vado in traccia tosto di trovarmi un alloggio per i tre giorni e le tre notti consecutive, avendo somma necessitá di riposo e di calma.

— Oibò! — rispose il mastro di casa. — Ella deve riposare nella sua casa e nella sua stanza serbata con tutta l’attenzione.

— No no, certamente — diss’io. — La ringrazio della cortese sua diligenza. Come mai vorrebb’Ella ch’io dormissi con questo fracasso? Il mio sonno è alquanto sottile.

Ordinai al facchino ed al servo che mi seguissero, e passai ad abitare pazientemente per i tre giorni e le tre notti consecutive in una locanda.

Alleggerito dalla stanchezza la notte, volli andare a congratularmi col cavaliere Bragadino dell’esaltazione al patriarcato del di lui fratello.

Quel cavaliere m’accolse con somma affabilitá. Si mostrò amareggiato per quanto aveva inteso dal suo mastro di casa. Mi narrò con una candidissima ingenuitá che il patrizio conte Ignazio Barziza lo aveva assicurato d’aver spedito un messo con una lettera a me nel Friuli, chiedendomi licenza di valersi del mio albergo per le feste del patriarca, e ch’io gli aveva colla mia risposta dato ampiamente l’assenso.

Gli risposi che in vero non aveva veduto né messi né lettere, ma ch’egli m’aveva fatto un sommo piacere a valersi della mia povera casa; ch’io desiderava maggiori esaltazioni alla di lui