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parte terza - capitolo i 215


— Come! — diss’io ancor piú sbalordito e mansuetamente. — Perché non poss’io passare?

— Non signore — risposero que’ terribili, — per quest’uscio non s’entra. Ella vada a porsi in maschera ed entri per quel portone che vede qui a mano diritta, ch’è del palagio Bragadini. Mascherato la lasceranno per di lá entrare alle feste.

— Ma se fossi il padrone di questa casa, e giunto stanco da un viaggio, agghiacciato e assonnato, non potrei entrare nella mia casa per pormi nel mio letto? — diss’io con tutta la flemma.

— Ah, il padrone? — risposero que’ feroci. — Ella si fermi ed avrá qualche risposta. — Detto ciò mi chiusero impetuosamente la porta in faccia.

Io guardava come un smemorato il facchino ed il servo, ed il facchino oppresso dalla soma ed il servo guardavano me incantati.

S’aprí finalmente di nuovo l’uscio e mi si presentò un mastro di casa tutto trinato d’oro, il quale con molti inchini mi fece l’invito d’entrare. V’entrai, e salendo la scala chiesi a quella riverente persona che fosse l’incantesimo ch’io vedeva nel mio albergo.

— E lei non sa nulla? — rispose quell’uomo. — Il mio padrone patrizio Gasparo Bragadino, prevedendo che il di lui fratello sarebbe eletto patriarca, trovandosi ristretto di fabbricato per fare le consuete feste pubbliche, desiderò di unire con un ponticello di passaggio dalle finestre questa casa alla sua, per aver maggior agio. Tanto fu eseguito con la di lei permissione. Qui si fanno parte delle feste e si getta dalle finestre al popolo pane e danari. Lei non abbia però alcun dubbio che la stanza dov’Ella dorme non sia stata preservata e chiusa con diligenza. Venga meco, venga meco e vedrá.

Rimasi ancor piú attonito sentendomi dire d’una permissione che nessuno m’aveva chiesta e ch’io non aveva data. Non volli però far parole con un mastro di casa sopra ciò, e giunto nella sala restai abbagliato dalle gran cere che ardevano e stordito da’ servi e dalle maschere che facevano un gran girare e un gran bisbigliare.