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214 memorie inutili


M’avviai verso Venezia ben impellicciato, e superando pantani, buche profonde e fiumi gonfiati, vi giunsi verso l’un’ora di notte metá vivo e metá morto per la noia, per la stanchezza, per il freddo e per il sonno.

Smontai dalla barca che mi condusse alle poste a San Cassiano, e fatto prendere ad un facchino il mio baule in collo e al mio servo una cappelliera sotto il braccio, indirizzai i passi verso la mia abitazione, ben ravvolto nel pelliccio e tutto brama e necessitá d’andarmene a letto ben caldo.

Giunto col facchino ed il servo carichi alla calle della Regina, quella via era cosí affollata e calcata di maschere e di gente d’ogni sesso, che il voler fendere la piena per giugnere all’uscio mio con le some de’ miei due seguaci era cosa affatto impossibile.

— Che diavolo è questa calca? — chiesi ad uno che m’era presso.

— Fu oggi creato patriarca di Venezia il patrizio Bragadino, che ha il suo palagio nel fondo di questa calle — rispose quell’uomo. — Si fanno fuochi, feste; si largisce pane, vino e danari al popolo per tre giorni. Queste sono le cause della pressa enorme.

Riflettendo io che l’uscio della mia casa era vicino al ponte per cui si passa al campo di Santa Maria Materdomini, credei, facendo un giro per la calle detta del «ravano» e per la contrada di Sant’Eustacchio, di poter riuscire nel detto campo e passando il ponte di aver libertá di ficcarmi nel mio albergo a dormire.

Feci il lungo giro co’ portatori del mio corredo, e giunto nel campo di Santa Maria Materdomini rimasi uno stupido nel vedere spalancate le mie finestre, e la casa mia, tutta fornita di ciocche di cristallo e illuminata da cere, ardere come la casa del Sole.

Dopo esser stato mezzo quarto d’ora con la bocca aperta a mirare tanta maraviglia, mi scossi, e facendo cuore passai il ponte, picchiando forte all’uscio mio.

Aperto l’uscio mi si affacciarono due militi urbani, i quali presentandomi due spuntoni al petto gridarono con viso fiero: — Per di qui non si passa.