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parte seconda - capitolo xlix 197


— Ciò non posso negare — rispos’io. — Ebbene — disse la fraschetta e presto con mia sorpresa, — attendo una giovane mia amica, che viene ogni sera a tenermi compagnia e a dormir meco la notte sino che mio marito sta fuori. Veniremo insieme mascherate. Ci aspettino verso le due della notte in capo a questa calle.

— Brava! — esclamò l’amico esultante. — Voglio che stiamo allegri. Dopo la commedia intendo di volere che passiamo in un’osteria ad una cenetta, e vogliamo brillare.

Io non era vivo e non era morto, ma m’ingegnava a sostenere il contegno della indifferenza. — Possibile — diceva tra me — che poche ore bastino a far cadere una giovine che io conobbi cosí virtuosa per un lungo tempo, e che poche ore bastino a involarmi una amante, che tanto apprezzo, che m’ama tanto e che cerca di voler divenire mia moglie?

L’accordo era posto. Detto fatto. All’ora fissata ecco le due mascherette in capo alla calle. L’amico s’avventò come un falcone al braccio del mio bene, ed io rimasi servendo, mal in corpo, l’altra giovine, ch’era una biondina, grassotta, non brutta, ma che in quel punto non mi ricordava nemmeno s’ella fosse femmina o maschio.

Vedeva l’amico dire delle gran cose a voce bassa alle mie viscere senza mai rifinire, e l’udiva tratto tratto esalare de’ gran sospiri. Io sospirava piú di lui e replicava tra me e fuori di me: — E potrá mai avvenire che quella eroina si lasci sedurre? — Entrammo nel teatro e nel palchetto. La biondina si pose ad ascoltare con attenzione la commedia. L’amico non lasciava ascoltar commedia alla mia colonna, e le soffiava continuamente non so quali parole ammaliate nell’orecchio. Io la vedeva accesa e sbalordita. Fremeva internamente, ma fingeva d’ascoltar la commedia, di cui non so dir altro se non che ella mi pareva eterna.

Passammo dopo all’osteria della Luna, e sempre accoppiati, l’amico col mio amore, io colla biondina. Giammai potei intendere una del torrente di parole che l’amico snocciolava nell’orecchio alla compagna.