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CAPITOLO XLIX

Storia del mio terzo amore, che quantunque sia storia, do licenza

alle femmine di considerarla favola.

Giunto a Venezia, non occorre ch’io narri gli avvenimenti che ho narrati con tutta la sinceritá nelle Memorie della mia vita sino all’anno 1780 in cui scrivo; ma siccome ho promesso di dare la storia pontuale de’ miei amori, fo la pubblica confessione anche del terzo mio amore, che fu l’ultimo de’ miei essenziali e considerabili amori e in cui la mia romanzesca metafisica e la delicatezza del mio cuore averebbero giurato, senza timore di giurare falsamente, d’aver trovata una amante imperdibile e di quel sublime sentimento che bramavano. Il Boccaccio averebbe potuto formare una buona novella del mio terzo amore. La narrazione di questo sará lunghetta, ma a me sembra che gl’ingredienti e gli aneddoti ch’ella rinchiude meritino de’ lunghi tratti diligenti della mia penna, e meriti della sofferenza ne’ miei lettori.

Da certi stanzini nell’alto della mia abitazione di Venezia, ne’ quali io dormiva e ne’ quali m’occupava ne’ miei frivoli studi quasi le intere giornate, udiva tratto tratto una voce angelica cantare delle ariette e sempre d’armonia flebile e di parole malenconiche. Quella bella voce usciva da una casa divisa da una stretta callicella da’ miei stanzini. Le mie finestre erano in faccia a quelle di quella casa, e doveva nascere l’accidente ch’io vedessi un giorno l’oggetto dalla bella voce seduto appresso una delle sue finestre cucire de’ pannilini.

Appoggiandomi ad una delle mie finestre, eravamo tanto vicini che mi pareva di usare una inciviltá a non salutarla. Ella mi corrispose con una cortese gravitá.

Quella giovine di circa diciassett’anni e maritata aveva tutte le bellezze che può donare la natura. Era di contegno maestoso, bianchissima di carnagione, d’una grandezza mediocre, d’una