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parte seconda - capitolo xlvii 169


I detti del conte Vilio furono scorpioni al mio cuore. Volli tuttavia fare il franco e l’indifferente, e sforzandomi a ridere gli risposi, forse un po’ balbuziente, ch’era ben vero ch’io conosceva quella ragazza, ma che la mia pratica era stata sempre innocente e che non aveva di che temere; che l’aveva poi trovata ognora tanto modesta e rattenuta, che dubitava ch’egli fosse stato ingannato da un forfante millantatore con un troppo gran pregiudizio di quella povera giovine.

— Non sono in inganno, per Dio! — disse il Vilio alla bresciana. — Siete assai giovinetto per conoscere il mondo. Ho fatto il dovere d’amico, ed a me ciò basta.

Egli mi lasciò col capo intronato, collo spirito agitato e titubante. Siccome sin da ragazzo ho fatto sempre professione di costringermi e di comandare a me medesimo, strozzai l'avida brama che mi stringeva ad abbracciare la mia tiranna. Sospesi la visita non solo, ma tenni chiuse le mie finestre fuggendo ogni occasione di vederla. Ad alcune ambasciate della genovese custode delle mie camicie risposi con de’ laconismi di nessun significato, senza mai dare un cenno della causa della mia alienazione. Alcuni viglietti furono da me rifiutati con una eroica ovvero asinesca costanza.

Egli è ben vero che alimentava nel seno un vivo desiderio che la mia bella fosse innocente e che le accuse d’un errore di tanta bassezza uscissero da una turpe menzognera maldicenza. Sperava di venire in chiaro del vero per qualche via, attenendomi a’ modi austeri e barbari.

Venni pur troppo in chiaro d’una cosa strana, ch’io non averei mai immaginata e che mi lusingo che nemmeno i miei lettori possano immaginarla prima di leggerla. Chi sa ch’io non abbia il vantaggio di farli ridere nel raccontarla?

Passando un giorno per le mura, la solita donna attempata albergatrice dell’uffiziale mio amico mi pregò dalla finestra di voler ascoltare da lei alcune parole e ad entrare in casa. Entrai.

Indovinava ch’ella volesse parlarmi del mio bene abbandodonato. Tutto circospezione, m’apparecchiava a rispondere delle oneste scuse senza toccare la schifa piaga. Non indovinai però