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parte seconda - capitolo xlvii 165

un amore d’un carattere tanto omogeneo all’indole mia metafisica. Le promisi d’esser con lei qualche volta; promessa di cui aveva piú bisogno io che lei. Ella mostrò del giubilo.

La sorella s’era destata, e con un breve complimento, adducendo io d’aver condotta la sua sorella per un accidente, accompagnato alla scala dalla mia spasimata con de’ semplici stringimenti di mani e de’ baciamani reciprochi, sono partito intabaccato e balordo.

Cercammo de’ momenti d’essere insieme e con minor cautela che non speravamo.

Per molti giorni le nostre conversazioni furono scherzevoli, lepide, saporite. Un commercio di sentimenti d’affetto, de’ sospiri che uscivano dal profondo delle viscere, de’ titoli confidenziali, degli amplessi teneri e moderati, degli accarezzamenti, de’ vapori infiammati, de’ languori, de’ pallori, de’ sguardi tremoli erano le soavitá ch’io credo le delizie maggiori d’amore, le piú delicate e le piú durevoli.

Dal canto mio esisteva ancora il freno del pudore. Dal canto della ragazza questo freno appariva.

Un giorno ch’io ero stato a giuocare al pallone, cambiatomi di camicia per il sudore, mi posi a passeggiare soletto in sulle mura. Il caldo era grande, e cercava refrigerio nell’aria che spirava dal mare. Passando dinanzi all’abitazione della donna attempata, moglie del notaio e albergatrice del mio amico uffiziale dalle doglie, m’udii chiamare. Volgendomi alla voce vidi ad una finestra la donna attempata col mio idoletto. M’invitarono in casa e v’andai volontieri. Si propose un passeggio al fresco per le mura. L’uffiziale, che stava un po’ meglio, volle ingegnarsi ad essere della brigatella. Egli porse il braccio alla sua donna attempata, io lo porsi alla mia fresca ragazza. Egli camminava adagio perché zoppicava co’ piedi gottosi. Io andava adagio perché zoppicava col cuore ferito e perché rimaneva colla mia bella in maggior libertá, stando lontano dalla prima coppia. La notte cominciava a imbrunirsi. Fatto un picciolo giro, l’uffiziale cominciò a lagnarsi delle doglie ne’ piedi, e mi chiese permissione di ritirarsi colla sua attempata, dicendomi che, goduto io alquanto