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parte seconda - capitolo xlv 151

differenza di modello dal quadro all’ovale, lo fu per consiglio dell’orefice, che mi fece prendere le piú leggere perché si rompessero piú presto e ché avessero piú laboriosa fattura per guadagnare di piú.

I poco parlatori e assai pensatori, come verbigrazia son io, occupati ne’ molti loro pensieri, prendono il vizio di incrocicchiare le ciglia per maturarli, il che dá loro un’aria brusca, severa e presso che truce. Bench’io abbia l’animo sempre allegro, come si può rilevare da’ scritti miei, gl’infiniti pensieri ch’empierono sempre la mia testa in burrasca, o per gl’imbrogli della mia famiglia, o per riflettere alle ragioni delle mie liti nel fòro, o per riparare a qualche disordine, o per architettare una mia composizione poetica o qualche prosa, mi fecero cadere nel vizio del corrugare la fronte, dell’aggrottare e incrocicchiare le ciglia, per modo che unito questo vizio al mio passo lento, alla mia taciturnitá e al mio cercare passeggi solitari, mi fece giudicare da tutti quelli che non m’ebbero in pratica un uomo serio, burbero, impraticabile e forse anche cattivo. Molti che m’hanno còlto occupato in qualcheduno de’ miei molti pensieri colle ciglia brusche incrocicchiate e lo sguardo oscuro, guardandomi sott’occhio, avranno creduto ch’io pensassi ad uccidere qualche nimico, quando pensava a comporre L’augel belverde. Ne’ crocchi di persone per me nuove comparvi sempre assonnato, stupido e muto, sino a che non giunsi a conoscere i caratteri e i pensari di coloro che formavano quelle adunanze. Studiati i caratteri e i modi di raziocinare di quelle, non fui piú né sonniferoso né muto né stupido. Non posso tuttavia assicurare di non essere stato uno sciocco. Tutte le mie sciocchezze però saranno state laconismi, che annoiano meno le societá de’ fioriti discorsi eterni.

Ho dato un picciolo abbozzo del mio esterno; mi concentro ora per dare un altro schizzo veridico del mio interno.