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CAPITOLO XLV

Mio esterno.

Ho sparsa qua e lá in queste mie inutili Memorie la promessa di dare un’idea puntuale del mio esterno, del mio interno e de’ miei amori, ed è dovere ch’io adempisca a una parola che ho data. La mia statura è grande, e m’avvedo di questa grandezza dal molto panno che occorre ne’ miei tabarri e da’ parecchi colpi ch’io do colla testa nell’entrare in qualche stanza che abbia l’uscio non molto alto.

Ho la fortuna di non essere né scrignuto né zoppo né cieco né guercio. Dico «ho la fortuna», tuttoché se anche avessi l’uno o l’altro o tutti questi difetti, li porterei con quella stessa ilaritá di spirito in Venezia, con la quale Scarron ha portate le sue imperfezioni a Parigi.

Questo è quanto credo di sapere e di poter dire della mia macchina, avendo lasciata sino dalla mia giovinezza la briga alle femmine di dirmi «bello» per lusingarmi e di dirmi «brutto» per farmi rabbia, senza che vincessero mai né l’una cosa né l’altra.

Escluso sempre il sudicio da me abborrito, s’ebbi in dosso qualche vestito di taglio moderno, fu per opera del sartore e non mai della mia ordinazione. Chiedete a Giuseppe Fornace mio sarto infedele da piú di quarant’anni, se gli ho mai seccati i testicoli, come fanno moltissimi su questo proposito.

L’acconciatura de’ miei capelli dall’anno 1735 all’anno 1780, in cui scrivo, fu sempre della forma medesima con una costanza eroica, né per forse cento simmetrie cambiate dal delirio del detto buon gusto e della moda non creduta farfalla, avvenute da quell’anno a questo nelle pettinature, non volli giammai sviato un pelo dalla mia solita pettinatura. Non ho mai cambiato modello di fibbie alle scarpe sino a tanto che spezzate le prime fibbie dovei cambiarle per necessitá, e se nel cambio ci fu qualche