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parte seconda - capitolo xliii 137

la risurrezione degli annegati. Lo cercai per rimunerarlo con alcuni zecchini. Trovai quel zelante dottore con de’ testimoni da lui radunati, affaccendatissimo ad estendere un memoriale zelante da presentare al grave magistrato sopra la sanitá, onde fosse intesa la sua zelante attenzione nell’usare i suggerimenti prescritti sopra la persona del conte Gasparo Gozzi, tratto dal fiume annegato e dal di lui zelo prodigiosamente risuscitato, chiedendo infine zelantemente la medaglia d’oro di quattro zecchini, premio destinato dal Principe a’ zelanti esecutori degli esperimenti.

Egli volle narrarmi il caso, i suoi meriti e leggermi anche il suo eloquente zelante memoriale. Lo pregai a tacere e a non leggermi cose che rinforzassero nella mia fantasia anche di troppo amareggiata immagini funeste. Gli posi in mano quegli alcuni zecchini che gli aveva destinati, ringraziandolo partendo e lasciandolo occupato co’ suoi testimoni a formare il suo zelante memoriale. Mi fu detto che lo aveva anche presentato e che aveva espugnata la medaglia da’ quattro zecchini zelantemente, ed io scusai la necessitá della dottrina zelante e povera.

Mio fratello scorse alcuni giorni e alcune notti né vivo né morto, nel suo letargo e nella sua febbre infuocata, senza prendere nutrimento. La sollecita affannata madama Cenet schiavandogli i denti a forza, s’ingegnava a cacciargli di quando in quando nella bocca alcune pallottoline di butirro con un cucchiaiuzzo da caffè. Questo era tutto il cibo ch’egli lambendo inghiottiva senza avvedersi.

I quattro medici venivano gentilmente due volte il giorno a visitarlo, perocché avevano tutti caldissime raccomandazioni dalle lettere della dama accennata. Osservavano le orine, esaminavano gli sputi dell’infermo, gli toccavano il polso, assicuravano ch’egli aveva una febbre micidiale e si stringevano nelle spalle partendo.

Oltre al peso de’ pensieri afflittivi, delle fatiche, de’ passi, del bollore della stagione, aveva l’altro quotidiano di leggere lunghissime lettere di Venezia e di dover rispondere lungamente alla dama tenera per la vita di mio fratello, all’umanissimo