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parte seconda - capitolo xliii 135

di quella donna; io che niente ho mai ricercato dalla di lei protezione; io che pochi mesi prima dalla leggerezza e cattiveria del suo cervello muliebre vendicativo contro il Gratarol, con un inonesto raggiro e studio di baratti di parti in una mia commedia, in concerto con un comico, d’apparecchi di vestiario, di acconciature, di gesticolazione, di disseminazioni, ero stato posto al cimento di precipitare innocentemente, e che doveva abborrirla; sono giusto e devo separare il guasto del capo dalla sensibilitá del cuore di quella femmina. Se sono giusto, io che non ho avuto da lei che del male, molto piú giusti dovrebbero essere que’ molti che riceverono de’ benefizi dal suo cuore sensibile. Presento un picciolo quadro, agli animi ben fatti, di quella signora.

Giunto io nella sua stanza la trovai sopra un sofá immersa in un pianto dirotto. Appena mi vide si levò e volò a precipitarsi nelle mie braccia mezzo svenuta. Quando poté favellare, altro non poté dirmi se non che interrotta da’ singulti: — Caro amico, andate a Padova, ricuperatemi mio padre, ricuperatemi mio padre! — Ricadde nel suo sofá spargendo un fiume di lagrime.

Quantunque avessi bisogno d’esser confortato m’ingegnai a confortare quella desolata signora, promettendole di partire immediatamente e lusingandola colla mia debile lusinga che il male di mio fratello non sarebbe invincibile come si ragguagliava nella lettera.

Non narrerò niente del mio viaggio veloce da me fatto per Padova. M’incontrai a Fusina nel conte Carlo di Colloredo, il quale con somma dolcezza mi chiese se vi fosse niente di nuovo a Venezia. Credo d’aver risposto — Nulla — sgraziatamente, salendo in un legno e partendo.

La tetra immagine di trovare il mio povero fratello estinto, immagine che prendeva vigore crudelmente a misura ch’io m’appressava alle mura di Padova, mi tenne occupato per modo che non vidi né acqua né terra né alberi né bestie né persone in quel viaggio.

Giunto in Padova entrai nella solita cordiale abitazione dell’amico mio signor Innocenzio Massimo. Fui accolto co’ modi