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parte seconda - capitolo xlii 133

iraconde stravaganze del cervello riscaldato del Gratarol non abbiano posto in mano delle armi a’ suoi troppo ingiusti nimici, aguzzata una sozza protetta comica venalitá e irritati de’ tribunali col suo non meno che col mio pregiudizio.

Seguíti tutti i sopraddetti accidenti, mi sono incontrato faccia a faccia col Gratarol a Venezia ed a Padova infinite volte, desideroso della di lui cordialitá. Non celo il suo valore. Egli ha obbedito alla sua non guaribile alterigia tenendo il cappello inchiodato sulla gabbia de’ suoi farfalloni, ed io ho obbedito al consiglio del senatore di non essere il primo a salutarlo, senza aver sopra ciò pretensione alcuna, ma non senza sentire il ribrezzo ch’egli non sentiva, d’usare un’increanza. S’egli m’avesse detta un’ingiuria sguainando la spada, averei inteso ch’egli pretendeva che la sua ritrattazione non fosse valida. Una pretendente inurbana albagia in lui non poteva risvegliare in me questa idea. Chi doveva immaginarsi ch’egli disegnasse di andare a Stockolm per ivi ingiuriarmi e per ivi sguainare la spada contro me che sono a Venezia?

Dal canto mio, salvo un consiglio ch’io doveva rispettare come un comando, ero alienissimo dal guardare quel povero oppresso dal proprio temperamento e da’ suoi troppo crudeli nimici, con guardo di nimicizia. Si leggeranno in queste Memorie delle prove ingenue di questa veritá.