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CAPITOLO XLII

Ciò che avvenne intorno al viglietto cattolico.

Il giorno diciannove del gennaio accennato uscii dal letto a mente serena, e condannando me stesso della imprudenza e del caldo del giorno anteriore, cominciava a ravvivare il mio naturale risibile.

Al cicaleccio risvegliato per la cittá dalla pioggia de’ viglietti del mio iracondo odiatore, un buon numero di signori, di parenti, d’amici si crederono in una cortese necessitá d’affollarsi alla mia abitazione.

Tutti amici veraci e che conoscevano il mio carattere erano maravigliati che fosse avvenuta a me un’avventura di quella specie, e desiderosi di sapere il caso mi stimolarono a narrarlo loro. Lo narrai con ilaritá, puritá e con de’ tratti comici in me naturali senza malizia, ed è certo che la pulcinellesca affettazione, il frasario e le attitudini del Gratarol ragionatore nel colloquio tenuto nella mia casa, da me al vivo espressi e dipinti, fecero ridere senza mia colpa la brigata.

Non so ciò che passasse nel casino del mio schiccheratore d’infami viglietti. Da me si rideva sgangheratamente di lui e delle sue mosse. Le risa terminavano con delle esclamazioni unissone, delle quali io non aveva pure nessuna colpa.

Il signor Carlo Maffei solo, ch’era degli astanti, aveva faccia di mortificato e d’afflitto, temendo soltanto ch’io fossi in disgusto con lui per avermi egli imbrogliato per bontá di cuore con un ente de’ piú irragionevoli e velenosi. Lo consolai al possibile co’ miei scherzi, e gli feci comprendere che da un uomo riscaldato il cerebro, artifizioso, e per natura, per riflessione, per ostinazione e per volontá superbo e vendicativo non poteva