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parte seconda - capitolo xl 119

proteggere un altro teatro a lui avverso, donando a questo tutte le invenzioni e l’opere sceniche mie che m’ingegnerò di scrivere a furore per danneggiarlo; e manterrò ben io a lui la parola. Sono fracido de’ da lui tenuti garbugli a mia costrizione e a mio dispetto per una sozza sua venalitá. Passerò quindi alla dama un po’ troppo inconvenientemente bizzarra nimica del Gratarol e troppo protettrice d’un capocomico. Farò intendere a questa che deve proteggere, piú che lui, me e la parola da me data anche sulle di lei espressioni. In somma farò e dirò quanto potrò fare e dire perché sia levato quel cartello; e se per sciagura non mi riuscirá d’avere il mio intento, il Gratarol frenetico ma che mi fa compassione e con cui sono impegnato, saprá almeno la sopraffazione che mi si fa, i miei passi, i miei dispiaceri e le mie ferme determinazioni, e li saprá il mondo tutto, con cui devo essere giustificato della mancanza d’una promessa solenne e ferma da me fatta sulle promesse altrui.

Tale era la mia risoluta intenzione fermissima e sorda a qualunque prudenziale riflesso, come può essere asserito da’ due incontaminabili testimoni, patrizio Balbi e signor Raffael Todeschini. Ma mentre la mia offesa e irritata delicatezza esagerava e si disponeva ad un riparo, il Gratarol era ben lunge dal pensare con delicatezza. Orbo egli e fedelissimo al livore che nutriva contro me solo, non riflettendo né a’ suoi possenti nimici che per mortificar lui non si curavano d’offender me, né a’ tribunali, né al pubblico, volendo in me solo la causa della sciagura che sofferiva per la commedia, sembrandogli la circostanza di quella nuova replica opportuna per vendicarsi con un suo nuovo strattagemma brutale e proditorio contro me, colla inutile speranza di screditarmi agli occhi della mia patria, guidato dalla follia della sua perspicacia iraconda, macchinò il coraggioso eroico tratto che si leggerá nel seguente capitolo.