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parte prima - capitolo ii 39


L’aspetto d’una numerosa adunanza nelle mie pubbliche letterarie azioni accrebbe in me l’ardire. In una privata visita, a me novella, la mia circospezione fu spesso battezzata per selvatichezza.

Il mio primo sonetto scusabile fu da me composto in etá di nove anni; e siccome, oltre all’applauso, egli mi fu fertile d’un bacile di confezione, non mi è mai potuto uscire dalla memoria. Ecco l’argomento ed ecco il mio sonetto.

Certa signora Angela Armano, di professione levatrice assistente a’ parti, aveva un’amica a Padova, alla quale era morto un cagnolino sua delizia, né poteva guarire dall’afflizione di quella morte.

Cotesta signora Angela voleva confortare l’amica con molta rettorica. Voleva inviarle in dono una sua cagnetta appellata Delina, conosciuta dall’amica, in sostituzione del cane defunto. Non voleva piú restituzione della Delina, e voleva accompagnarla con un sonetto che contenesse tutti que’ sentimenti che può contenere una lettera scritta da una femmina levatrice sopra a questo argomento, ch’ella considerava importante.

Benché la famiglia nostra fosse un ospedale di poeti, nessuno di questi volle assumere il peso di trattare in versi il desiderio della signora Angela ciarliera e smaniosa. Le di lei preghiere mi commossero, ed ho servita io la signora Angela bernescamente, nel modo che segue:

ALLA VEDOVA D’UN CAGNOLINO

SONETTO.

     Madama, io vi vorrei pur confortare
con qualche graziosa diceria;
ma la sciagura vuole, e vostra e mia,
che in un sonetto la non vi può stare.
      Non vi state, mia cara, a disperare,
ché la sarebbe una poltroneria
l’entrar per un can morto in frenesia;
chi nasce muor, convien moralizzare.