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CAPITOLO XXIII

Frutto del mio passo falso.

Due giorni dopo il mio uffizio spedito, comparvero unite, alla mia abitazione, mentr’io ero occupato al mio scrittoio, le due sorelle Ricci, la comica e la ballerina, ch’io accolsi con civiltá.

— Seppi qui da mia sorella — disse la comica con un contegno imbarazzato ed ardito — che lei, signor compare, è in collera meco, e sono venuta ad intendere il motivo.

— Io non sono in collera punto né poco — rispos’io. — Voi sapete ch’io v’ho sempre detto che, qualora vi metteste in una vista di venturiera galante, mi sarei allontanato da voi. Avete aperto l’adito a delle sporchissime ciarle ch’io non posso frenare. È offesa la vostra fama e dileggiata l’amicizia ch’ebbi per voi per tanti anni. Cerco di salvarmi, se però sono in tempo, di non essere frammischiato nella laidezza di simili dicerie che non posso frenare; e v’ho mandato un avviso per semplice urbanitá, onde possiate apparecchiarvi a difendervi, essend’io dalla vostra direzione medesima disarmato e reso inutile alla vostra difesa. Ho fatto in cinqu’anni della mia sincera amicizia quanto ho potuto per voi, per la vostra buona fama e per il vostro onesto interesse, ed ho sofferto abbastanza. Non voglio credervi ingiusta a segno di pretendere da me quello ch’io non devo e non voglio. L’ombra mia non deve servire di covertella a’ vostri trapassi. Rimanete ne’ vostri capricci, ch’io intendo di voler la mia calma, di rimettere la mia salute in quest’anno non ferma, e di non piú disturbar me e disturbar voi co’ miei ricordi, per esser puramente molesto alle vostre inclinazioni.

A queste parole la giovane divenne muta. Ella guardava qua e lá, e co’ suoi gesti dinotava di volermi dire delle cose da lei trattenute per riguardo alla presenza di sua sorella.