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CAPITOLO XXII

Visita avuta da me del signor Gratarol. Miei dialoghi con quel signore. Mormorazioni della compagnia comica e alcune mie dabbenaggini riguardanti la Ricci.


La mattina dietro al lautissimo banchetto dato dal signor Gratarol e mentre ero io ancora a letto, mi fu annunziata la visita del signor Gratarol, ch’io aveva conosciuto appena per momenti e di volo sul palco scenario. Mi raccolsi a ricevere questa visita per me nuova.

Egli entrò co’ suoi passi piú inglesi che veneziani, abbigliato leggiadramente, e con delle espressioni verso di me che l’umiltá mia non poté che considerare adulazioni mal spese.

Dopo avergli io chiesto perdono del modo con cui lo riceveva e dopo le solite ricerche e risposte sul mio stato di salute, egli passò a dirmi che, essendosi formata una compagnia nobile di dilettanti di comica, ed eretto un teatro nella contrada di San Gregorio per ivi recitare delle commedie e delle tragedie, della qual compagnia egli stesso era membro, aveva egli proposto alla sua comitiva ch’era necessario un capo stabilito, sovrastante, direttore e plenipotenziario, alle cui leggi ognuno dovesse ciecamente obbedire in tutto e per tutto, e che l’assemblea intera era discesa ad accordare la di lui proposizione; ch’egli s’era presa la libertá di nominar me, e che tutta la societá aveva acclamato il mio nome con esuberanza e persuasione universale.

Lasciando da un canto lo stomachevole spirito di adulazione ch’io scòrsi, confesso che il sentire occupato e impegnato con tanta serietá a ragionare di cosa cosí frivola un secretario dell’augusto veneto senato, eletto residente della serenissima repubblica alla corte d’un monarca delle Due Sicilie, risvegliò in me lo stupore e il risibile per tal modo che dovei tardare nel rispondere, per trattenere le risa.