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parte seconda - capitolo xvii 343


Non tralasciava però di tener sempre le armi alla mano per giustificare la sua condotta, per difendere il credito in cui l’aveva posta la mia amicizia, il mio comparatico e le mie visite ch’ella coltivava con tutta l’attenzione.

Terminato anche quel carnovale, la compagnia doveva partire per sei mesi da Venezia.

Era stata condotta da Bergamo a Venezia la ragazzina, figlia della Ricci e mia figliuoccia, che la madre aveva lasciata a bália colá.

Per non condur seco l’impaccio di quella figlia, la collocò a spese in Venezia, raccomandata alla mia attenzione.

Partita la compagnia e partita la Ricci con le solite comiche dimostrazioni di dispiacere di perdere la mia conversazione per sei mesi, rimasi assistente all’ottima ragazzetta mia figliuoccia, ch’io visitai con frequenza, soccorrendo a parecchi bisogni suoi.

Le sollecite e frequenti lettere della comare fulminavano me di ringraziamenti e fulminavano la sua compagnia co’ soliti lagni del miserabile stipendio alla di lei bravura. Degli adulatori amanti, ch’ella trovava per ogni cittá, riscaldavano il suo cervello, facendole credere che il suo valore meritava un regno per onorario. Bastava ciò perch’ella si scordasse ogni impiegno, ogni convenienza, ogni giustizia, e passasse sopravia al giusto riflesso che la ricolta delle migliori compagnie comiche dell’Italia era un mendicume, e ch’ella aveva uno de’ maggiori stipendi che avessero le piú abili prime attrici delle italiane compagnie.