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in una indigenza che si faceva palese da se medesima, senza ch’ella la esagerasse per farla intendere, qualitá che non poteva dispiacermi. Il suo onorario, insieme col marito, di cinquecentoventi ducati all’anno, per aver il quale aveva firmata una scrittura per piú d’un anno, era in vero miserabile in confronto a’ pesi e agli impegni suoi, lasciando da un canto l’ardente passione e il trasporto ch’ella aveva illimitato per un capriccioso lusso e per quella peste delle fantasie, introdotta generalmente anche nelle private famiglie sotto il titolo di «buon gusto».

Per proccurare del bene al possibile a quella tale mia amica, conveniva ch’io m’addossassi qualche pensiero di direzione. Non mancai di questo amichevole debito.

Dissi che la compagnia del Sacchi aveva un sommo credito nel costume morale.

Molte famiglie nobili, civili ed agiate di Venezia si facevano un piacere d’aver commensali gl’individui mascolini e femminini di quella societá comica.

La malignitá, la gelosia di mestiere e la ingiustizia avevano pregiudicato il buon nome della Ricci, e una noncuranza verso a questa e una predilezione verso alle altre sue compagne, di tutte le accennate famiglie protettrici al bene della compagnia, feriva non meno il buon nome di quella giovine che la mia pratica, e non mi piaceva.

Trovava la meschina onorata, morigerata, di abilitá, e parevami ch’ella dovesse partecipare de’ favori che godevano tutte le sue concomiche. Scorgeva essere ciò necessario per lei e per me.

Si noti questo mio scimunito primo impegno di farmi in certo modo mallevadore del di lei merito, del di lei sano costume, della di lei bontá. Un tal impegno a cui m’esposi ha molto che fare con gli eventi successivi di questa mia amicizia balordamente incontrata, di cui siamo in accordo che ognuno possa ridere se ne ha voglia.

Rimproverando le altre comiche soavemente ed esagerando con arte e moderazione la pura veritá che m’appariva del buon