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parte seconda - capitolo v 269

due grandissimi cassonacci calcati di carte al magistrato dell’Avvogaria.

Si credé forse di sbalordirmi e disanimarmi, ponendomi nella necessitá di esaminare un oceano di pagine.

Ci voleva ben altro a sbigottirmi, ed ottenuta una di quelle licenze, che nel fòro si chiamano «cortesie», dal signor Daniele Zanchi, conosciuto causidico e difensore del mio avversario, di poter scorrere con gli occhi quel lago di scritture nella di lui abitazione, m’adattai con una flemma inalterabile a leggere infiniti milioni di linee di antichi caratteri e smarriti e rossicci e semigotici e per la maggior parte magici.

Scelsi tutte le carte che credei utili ed opportune nella mia lite, e pagai a’ copisti del signor Zanchi sopraddetto quarantadue gran volumi di copie tratte da quel diluvio.

Le cose afflittive lasciano un’impressione durevole nell’animo. Lo scorrere esattamente que’ gran scartafacci, ch’erano ben altro che di poesie e di prose dilettevoli, fu uno sforzo di tutte le mie fibre. Mi risovviene che il mio esame durò piú di due mesi, che fu in una invernata nevosa e crudele, che il signor Zanchi, pietoso del mio abbrividire, mi faceva recare uno scaldino di bragie, e che, tra la noia e il freddo, ho dubitato di dover spirare l’anima tra le pareti de’ miei nimici.

Incominciai le mie sfide al signor marchese Terzi dinanzi ad un giudice che aveva fatto delegare dalla pietá del Principe in una causa voluminosa.

Il mio avversario ebbe per buon consiglio il prendere una direzione che mi sommergesse in un abisso, facendo divenire una sola causa un’idra da sette teste, pullulanti forse venti cause interminabili. La sua opulenza sperava di sopraffare la mia povertá e di cacciarmi in un labirinto da cui non potessi uscire e in cui dovessi naufragare per mancanza di forza.

Tali difese escono dal criterio forense, e si considerano lecitissime. È gettato all’aria il provare con una morale incontrastabile che sono dannate.

Vidi la mia causa, ch’era una sola, divenire tre cause in apparecchio e coll’aspetto di divenir venti cause, e mi vidi