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CAPITOLO V

Ripiglio un litigio forense e scrivo favole teatrali.

Fu nel detto anno 1766 che i miei fratelli mi stimolarono con del calore a ripigliare il litigio attivo forense contro il signor marchese Terzi di Bergamo.

Nel capitolo trentesimosecondo della prima parte di queste smemorabili Memorie ho dette le ragioni per le quali aveva sospeso di proseguire quella causa da me cominciata.

Prevedeva che avrei avuto a fare con un avversario possente di borsa e di aderenti. Bilanciava i miei scarsi modi, e sapeva che i miei fratelli poco averebbero contribuito per impotenza alla spesa, che non poteva avere una limitata misura. Indovinava che sarei rimasto esposto solo alle batterie del mio fiero nimico, e forse colla desolazione del mio picciolo stato. Vedeva sopra al mio capo un nembo di travagli, di pene, di fatiche, di pensieri, di angustie.

Dall’altra parte considerava che le preghiere erano de’ miei fratelli; che alcuni, sempre parati a pensar male, averebbero potuto dire che, perduto nell’assistenza de’ comici, trascurava il bene che avrei potuto fare a’ miei consanguinei.

Chiusi gli occhi a’ perigli, e cominciai a spiccare degli atti forensi contro al nimico con un coraggio da Orlando.

Siccome per gli antedetti disordini della nostra famiglia io non aveva scritture di questa materia, tratti tre antichi testamenti e qualche vecchio sommario, giallastro e tarlato, di riflessi e di ragioni, commisi con un pubblico precetto al mio avversario di presentare le scritture tutte relative al patrimonio sopra a cui aveva pretesa e relative a’ litigi corsi tra i suoi ascendenti e i miei quondam avo e quondam padre, allora pupillo.

Dopo vari replicati ordini della giustizia, mi vidi presentare