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parte seconda - capitolo iv 267

cui i miei ridicoli censori mi opponessero il buon effetto, che fu anche puramente effimero, de’ due Geni del Goldoni, colla lusinga di mortificare un orgoglio che non ebbi giammai.

Chi non vuole accertarsi non si accerti che il genere scenico favoloso, che interessi il pubblico e che resista in sui teatri, è il piú diffícile di tutti gli altri generi; e che se non contiene grandezza che imponga, arcano maestoso che incanti, novitá d’aspetto che fermi, eloquenza che inebbri, sentimenti filosofici sentenziosi, sali urbani di critica allettatrice, dialoghi usciti dal cuore, e sopra tutto la gran malía della seduzione che riduca ad un’illusione ingannevole di far comparire all’animo e alle menti de’ spettatori veritá l’impossibilitá, non lascerá mai in quel teatro dove egli viene esposto né un’impressione che lo qualifichi, né quell’utile decoro che tien ferma la perseveranza d’un avviamento lucroso a’ nostri poveri comici. Le mie favole non avranno nessuna delle sopraddette qualitá, ma è cosa certa che fecero un effetto come se le avessero.

I miei censori rideranno di queste veritá, ed io farò ridere il mio lettore sulla spezie de’ miei censori, quando sarò al segno e verrá il tempo di farlo, come promisi nel fine del capitolo primo di questa seconda parte delle Memorie ch’io pubblico per umiltá.