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CAPITOLO III

Pittura della compagnia comica del Sacchi da me soccorsa.

Seguo ad essere osservatore.

Ho data l’idea che ho concepita de’ nostri comici e delle nostre comiche in generale; darò ora la pittura particolare della comica compagnia del Sacelli, sopra la quale per il corso di quasi venticinqu’anni della mia volontaria amichevole assistenza ho potuto con agio fare una diligente anotomica e filosofica osservazione.

Io che aveva potuto leggere nelle viscere di quelle mie creature e aveva potuto fornirle di sentimenti, di dialoghi, di soliloqui immedesimati co’ loro spiriti e i loro caratteri, non poteva con la stessa abilitá e rapiditá penetrare anche nel loro sistema morale, chiuso da piú forti muraglie che non erano i loro caratteri, i loro spiriti, i loro scorci e le loro strutture.

Non v’ha dubbio che per lo meno sette personaggi di quella societá erano eccellenti sostenitori della commedia italiana alla sprovveduta, genere che ben eseguito fu sempre una verace pubblica innocente ricreazione, e mal eseguito non ha niente di piú infelice e di piú insofferibile. In ciò solo convengo co’ sciocchi persecutori di quel genere, piccioli geni che con la loro ostentata serietá sono piú ridicoli e piú inutili de’ cattivi Arlecchini.

La compagnia del Sacchi aveva un credito universale quanto a’ costumi famigliari, differentissimo da quello che in generale hanno quasi tutte le nostre comiche compagnie, per le quali gl’innumerabili non filosofi sono molto mal prevenuti.

Oltre alla proporzione che aveva questa societè colle mie idee bizzarre morali allegoriche ed oltre alla sua comica bravura, il buon odore di onestá che godeva nelle opinioni mi persuase