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intangibili e venerabili dalla prima sino all’ultima sillaba, come se i di lui animaleschi sfoghi fossero parole della Sacra Bibia.

Ecco la rosa che infiora la pagina 39 delle Memorie ultime di Pietro Antonio Gratarol, da voi di fresco pubblicate per servire di «supplemento», anzi pur di consolidazione alle di lui Narrazioni apologetiche:

«La civil condizione, il grado ministeriale, le sostenute fatiche, l’incorrotto onore sono vittime veramente degne da immolarsi all’invidia, alla persecuzione, al sucidume dell’infamia teatrale, all’infernale ipocrisia di un mentitore satirico, agli allori d’una prostituta patrizia dominatrice d’un semidittatore, insigne per talenti, per ricchezza, per passioni, per tirannide».

Confesserete che questo frammento da voi pubblicato recentemente, senza nemmeno due parole d’una vostra urbana postilla che separi me dagli oppressori veri del Gratarol, è un codicillo che riconferma, ribadisce e perpetua nella memoria de’ viventi e de’ posteri la intenzione libellatrice contro me dell’affascinato povero defunto, non meno che la opinione e intenzione di voi, che siete vivi; la qual cosa, con mio dispiacere piú per voi che per me, contraddice direttamente alle vostre espressioni gentili ch’io sono un «uomo rispettabile, dolcissimo e di amabile societá».

Ne’ casi nostri, gli elogi che m’avete largiti non possono essere giudicati che per di quelle ironie, le quali sono le satire piú velenose, piú sanguinose e piú mordaci.

Tuttavia, siccome io non potei giammai odiare il Gratarol, con tutti i libelli che ha urlati e disseminati caninamente contro la mia riputazione, siate certi ch’io giudicherò sempre voi, come ho giudicato lui, per mal prevenuti e riscaldati, e che vi sarò sempre buon confratello ed amico.

Vi prego a non mai scordarvi che i miei due primi volumi di Memorie della mia vita furono da me scritti l’anno 1780; tempo in cui il Gratarol viveva e in cui egli ha tentato colla sua Narrazione, con tutta l’arte che può suggerire un’ingiusta e guercia rabbia furente, d’uccidermi alla vita civile, per un suo livore a torto concepito, alimentato contro di me, e con quel vano effetto che avete potuto vedere.