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parte prima - capitolo xxxiv 211

e di ridere, con de’ scherzi e de’ sali d’uno spirito purgato e senza critica pedantesca, le terzine del Goldoni da lui fatte in lode del patrizio Veniero ritornato da Bergamo, dileggiatrici stizzite della mia Tartana.

Io non voleva che allettare e far ridere alle spalle di quel collerico onest’uomo, ma cattivo scrittore; e però, siccome egli aveva esercitata la professione di avvocato nel veneto fòro, e siccome riteneva nelle sue composizioni delle grossolane maniere e de’ colori delle scritture delle contestazioni forensi, cosí finsi una sua lettera a me diretta, scritta comicamente in caricatura con tutti i termini e le frasi che accostumano i causidici nel lor contestare i litigi, colla quale mi spediva le sue terzine da esaminare.

Inventai ch’egli intitolasse cotesta sua favata: Scrittura contestativa al taglio della «Tartana degl’influssi» stampata a Parigi l’anno 1757.

Presi quindi ad esaminare le di lui terzine e mi fu agevole lo scoprire in esse, con una faceta critica, una lunga schiera di goffaggini, d’improprietá, di puerilitá e di torti.

Senza alterare punto né poco i di lui sentimenti comuni e bassi di quelle terzine, colle quali egli pretendeva di lodare il cavaliere da lui esaltato e di inveire contro il mio libretto da lui odiato, rifusi le sue terzine co’ sentimenti suoi medesimi, ma con un linguaggio colto, poetico, elevato ed armonioso, facendogli conoscere che anche i sentimenti triviali che piangono doppiamente nel fango d’una dicitura palustre, espressi con un giro di scelte parole, con delle frasi proprie all’argomento che si tratta e coll’armonia poetica che il verseggiare richiede, acquistavano dignitá e potevano passare dal di lui stuonato colascione all’accordata cetra d’Apollo.

Lo disuadeva finalmente con delle buone ragioni e de’ riflessi amichevoli a non porre alle stampe la sua infelice biliosa Scrittura contestativa al taglio della «Tartana», e terminava l’operetta mia con alcune ottave scherzevoli, specie di memoriale al pubblico, col quale chiedeva in grazia, per lui, esenzione dall’obbligo che se gli dava di scrivere composizioni poetiche.