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parte prima - capitolo xxxiii 199


È bella cosa l’udire tutti strillare e lagnarsi degli effetti del vero «pregiudizio» in cui si sono inabissati e in cui gemono, ed è bello l’udire que’ medesimi che strillano e si lagnano della miseria che gli circonda, affettare gli atei, sostenere ostinatamente con de’ leggiadri sofismi ogni momento il vocabolo «pregiudizio» e sostenere per bene tutto ciò che cagiona quel «pregiudizio» legittimo, degli effetti del quale si lagnano, strillano e piangono.

A fronte de’ pregiudizi comuni, tanto essenziali figliuoli dell’abusata parola «pregiudizio», è cosa certamente picciola, e che non merita gran riflesso, quella cagionata nel nostro secolo dal fu padre gesuita, ora abate Saverio Bettinelli, e da alcuni altri spiriti inquieti, addottrinati abbastanza per poter danneggiare e sovvertire coll’accennato vocabolo «pregiudizio» i pacifici studi, i metodi, le scuole, il pensare, i vocabolari, il rispetto che si aveva alla puritá e al fraseggiare armonioso, alla semplicitá della nostra litterale favella e alla fissata coltura nelle belle lettere, specialmente nell’opere di spirito, e ambiziosi e arrischiati abbastanza per tentare l’incendio del tempio di Diana, per farsi ammirare come nuove stelle e orignali pensatori e scrittori.

Cotesto padre, ora abate Bettinelli, non senza ingegno, non senza facondia e non senza feconditá, ha incominciato a predicare sul pergamo del Parnaso alla gioventú, ch’era «pregiudizio» il fermarsi e l’addormentarsi a contemplare e ad imitare gli antichi nostri maestri; e deridendo Dante, Petrarca, Boccaccio e tutta la immensa schiera di quelli che ci hanno aperta, indi consolidata la via del bene immaginare, del ben pensare, del ben sviluppare le nostre idee co’ veri termini, con le vere frasi, le vere tinte, la vera semplicitá, e con una dicitura armoniosa e felice, sparse i semi del vero «pregiudizio» della poltroneria sopra a questo punto, col solo zelo di rendersi particolare e osservabile, di farsi credere originale e nuova cometa nel nostro secolo.

Quasi che i nostri maestri non sieno stati filosofi, con tutta la doviziosa filosofia che trapela dall’opere loro, il Bettinelli tuonando decantò il nostro secolo solo illuminato del vero e