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122 memorie inutili


Dopo tutti i miei riflessi replicai che mio padre era padrone di fare qualunque contratto, ma ch’io lo conosceva giusto e incapace di violentarmi a dare un assenso contrario alla mia libera volontá.

Tutti i miei torcicolli, le mie riverenze, il mio far colle mani le stimate di San Francesco, non potevano mitigare l’ardente significato del mio discorso.

La madre si eresse colle mani a’ fianchi, chiedendomi chi intendessi accusare delle disgrazie.

Al cimento in cui mi pose di dire delle altre veritá temerarie innegabili, mi contentai di rispondere; — Accuso il solo destino e le disgrazie medesime.

— Io credo — diss’ella con un sorriso fremente — che concorrerete a cotesto assenso.

— No certo — risposi con un inchino profondo, che non poteva essere interpretato che per un’ironia impertinente, benché non lo fosse. Altro non ci volle per innalzare le fiamme d’un Vesuvio.

La madre con ciglio procelloso proruppe verso a me, ch’era il sesto dito delle sue mani, con queste materne espressioni; che dal punto del mio ritorno dalla Dalmazia, ella era stata una Cassandra nel pronosticare ch’io averei posta la famiglia sossopra; che non conosceva in me un di lei figlio; che i consigli d’un amico a cui m’era attaccato avevano cagionato a me per lo passato, e cagionavano allora, la comune rovina. (Ecco in iscena l’innocente generoso amico signor Massimo). Seguí, che se mi fossi ben diretto nel mio triennio, S. E. Quirini m’averebbe rimunerato con qualche buon uffizio militare. (Addio mia determinata volontá di non seguire il mestiere del soldato. Addio vera impossibilitá d’aver uffizi mentre fui in Dalmazia, e addio mio studio tenuto per ben dirigermi). Continuò che la mia gita era stata un’incomoda spesa all’economia della casa; ch’ero stato un vizioso... ch’ella sapeva... che taceva... ma che... basta... e che il debito da me incontrato col signor Massimo de’ dugento ducati, non era che una perdita da me fatta al giuoco della bassetta.

Il debito era ancora vivo e non aveva dato alcun incomodo