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parte prima - capitolo xvii 113

calamaio, molte penne e molta carta, leggeva e scriveva un lago di poetiche corbellerie, per lo meno sei ore del giorno. Non aveva maggior divertimento di quello, né ommetto quell’altro che traeva nel sedere qualche ora al caffè nell’ascoltare i vari discorsi, nell’anotomizzare i vari caratteri e i vari cervelli che li facevano; né taccio quello che aveva la sera ne’ teatri della cittá, ascoltando le differenti tragedie e le differenti commedie che si facevano.

Mio fratello Gasparo aveva date al teatro alcune tragedie che piacevano in quel tempo, che non piacerebbero piú a’ nostri giorni, ma che a me piacerebbero ancora, perocché sono bensí conoscitore delle perpetue instabilitá delle opinioni e de’ gusti della nostra pregevole umanitá, ma lontanissimo dal cambiarmi nel mio parere e dal confessare insensibilmente d’essere stato uno stolido ad ogni periodo di cinque o sei anni per tutto il tempo della mia vita.

Aveva tenuta pratica e studiati de’ generali, de’ capi da mare, de’ nobili, de’ gran signori, degli uffiziali d’armata, de’ soldati, de’ popoli delle cittá illiriche, de’ morlacchi di que’ villaggi, de’ mainotti, de’ pastrovicchi, de’ sforzati, de’ galeotti, e volli conoscere la mia veneta popolazione, che prima non aveva potuto studiare.

Incominciai dalla pratica d’un ceto di persone, che a Venezia si appellano: «cortigiani». Questi erano bottegai, artisti, e non senza qualche prete, uomini destri, onorati, conoscitori di tutto il mondo veneto, bravi, rispettati dalla plebe per il loro coraggio, per le loro inframmesse nelle baruffe e per il titolo che s’erano acquistato di «cortigiani» e che sapevano come si fa a poco spendere e a molto godere.

Con questo genere di mortali, alcuni giorni festivi determinati andava a spassarmi, vogando nelle loro barchette di compagnia, e a caccia d’augelli palustri e a delle merende alla Giudecca, al Campalto, alla Malcontenta, a Murano, a Burano e nelle altre isolette vicine a Venezia.

Alla somma di trenta o poco piú soldoni, che mi toccava di tangente nella spesa di que’ conviti, aggiungeva il dono liberale