27
E come i paladin davan l’esempio
con gabbi e scrocchi, estorsion, prepotenze,
e faceano all’amor sino nel tempio,
nel villeggiare, e mille scandescenze;
i villanzoni acquistavan dell’empio,
rinvigorendo assai le coscienze.
Le villanelle, stuzzicate, a furia
rubavan biade per gale e lussuria; 28
e sapeano scherzar coli ’occhiolino
e alle richieste altrui non ritrosire;
aderiano ai sospir d’un paladino,
massime aggiunte ai sospir poche lire,
perché serviano a un nuovo gamurrino
per farsi vagheggiare e benedire:
donde Marfísa da maschio vestita
la sua convalescenza ha divertita. 29
E sendo un giorno alla messa in parrocchia,
quando all’aitar si volgeva il piovano
a spiegare il vangel, Marfísa adocchia
che dalla chiesa usciva ogni villano:
— Perdio! che gracidar vuol la ranocchia —
dicendo, — ella mi secca il diretano; —
e usciti que’ villan sul cimitero,
siedeano al sol scherzando sopra al clero. 30
— Odi tu — dicea l’un — cotesto prete
a predicar che non si de’ rubare?
Se il quartese de’ furti gli darete,
v’insegnerá a rubar, nel predicare. —
L’altro dicea: — Se ben l’ascolterete,
tutti i castighi, ch’ei sa minacciare,
saran sospesi in ciel, se noi gli diamo
nelle borse i quattrin che addosso abbiamo. —