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NOTA STORICA

Ebbene, sì; li vediamo tali e quali, anche fuori del teatro, anche oggi, i personaggi che Goldoni ci affaccia ne La Casa nova con quella mirabile sua virtù rappresentativa, fatta di visione limpida e retta, di sincerità e di misura. Chi non conosce qualche moglie che portò in dote un bel nulla ed è tutta moda e civetteria, come la Cecilia: o qualche debole e spensierato marito che dilapida il suo per la pazza prodigalità propria e di lei? Quanti nel bisogno non ricorrono indarno ad amici della tempra del conte forestiere, o di quello scroccone di Fabrizio, che (osserva giustamente il Masi, in Scelta di comm. di C. G., vol. II, p. 234) «e non solo il vecchio parassita della commedia classica, ma nello stesso teatro goldoniano si riscontra col conte Lelio del Cavaliere di buon gusto, col conte Onofrio delle Femmine puntigliose, e col Lelio e col Florindo della Moglie saggia»? E di serve ciarlone al pari di Lucietta, che spettegola prima al tappezziere, poi alle due brave donnine che abitano il piano superiore i fatti dei padroni, quante non ne scontrate a Rialto ogni mattina? Non parliamo poi di ragazze che amano riamate come Meneghina, sorella d’Anzoleto, con l’ardore appassionato de’ loro baldi vent’anni un bel giovanotto, il quale, guardate combinazione! abitava proprio dirimpetto a lei nella casa vecchia, e che oggi, poveretta, da quella nuova non potrà più occhieggiare. E cosa poi soggiungere dello zio Cristofolo, un rustego di buon cuore, che finisce col rimediare ai disordini del nipote, e che contiene in germe (ci avverte lo stesso Goldoni in Mem., II, XLI) il Burbero benefico? Tutto ciò significa che anche la Casa nova brilla di estrema naturalezza; che i caratteri in altre parole vi sono dipinti da grande maestro.

E come ci teneva l’autore! Basti dire che nessuna produzione ebbe più cara di questa; tanto che, a suo credere, la Casa nova da sola sarebbe stata sufficiente a procurargli quella riputazione che s’acquistò con tante altre (V. Premessa). Era egli andato da poco ad abitare assai alto, e precisamente in calle delle ballote, poco discosto quindi dal teatro di S. Luca; e «son stufo» scriveva all’amico Marco Milesi (in Capit. venez. per suor Maria Cecilia Milesi, Venezia, Pitteri 1760),

          «Son pur stufo ogni zorno aver da far
          Col pittor, col murer. col marangon.
          Ma co in ballo se xe, s’ha da ballar».

Ora se si pon mente che appunto al S. Luca comparve per la prima volta la commedia l’11 dicembre di quell’anno medesimo (v. Cod. Gradenigo 67 al Museo civ. Coner e Gazz. veneta 13 dic. 1760), non corre dubbio che l’intrigo dello sgomberare la casa vecchia e dell’adattarsi la nuova gliene inspirò il tema; insomma, com’egli scrive, «l’occasione gli porse il titolo, e la fantasia fece il resto» (Mem., op, cit.).