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58 ATTO SECONDO


Giacinta. Con me? Perchè ha da gridare con me? Lo stimo e lo venero, ma egli non è ancora in grado di poter gridare con me. (Ci giuoco io, che l’ha mandata qui suo fratello).

Vittoria. (È superba quanto un demonio).

Giacinta. Vittorina, volete restar a pranzo con noi?

Vittoria. Oh! no, vita mia, non posso. Mio fratello mi aspetta.

Giacinta. Glielo manderemo a dire.

Vittoria. No, no, assolutamente non posso.

Giacinta. Se volete favorire, or ora qui da noi si dà in tavola.

Vittoria. (Ho capito. Mi vuol mandar via). Così presto andate a desinare?

Giacinta. Vedete bene. Si va in campagna, si parte presto, bisogna sollecitare.

Vittoria. (Ah! maledetta la mia disgrazia).

Giacinta. M’ho da cambiar di tutto, m’ho da vestire da viaggio.

Vittoria. Sì, sì, è vero; ci sarà della polvere. Non torna il conto rovinare un abito buono. (mortificata)

Giacinta. Oh! in quanto a questo poi, me ne metterò uno meglio di questo. Della polvere non ho paura. Mi ho fatto una sopravveste di cambellotto di seta col suo cappuccietto, che non vi è pericolo che la polvere mi dia fastidio.

Vittoria. (Anche la sopravveste col cappuccietto! La voglio anch’io, se dovessi vendere de’ miei vestiti).

Giacinta. Voi non l’avete la sopravveste col cappuccietto?

Vittoria. Sì, sì, ce l’ho ancor io; me l’ho fatta fin dall’anno passato.

Giacinta. Non ve l’ho veduta l’anno passato.

Vittoria. Non l’ho portata, perchè, se vi ricordate, non c’era polvere.

Giacinta. Sì, sì, non c’era polvere. (È propriamente ridicola).

Vittoria. Quest’anno mi ho fatto un abito.

Giacinta. Oh! io me ne ho fatto un bello.

Vittoria. Vedrete il mio, che non vi dispiacerà.

Giacinta. In materia di questo, vedrete qualche cosa di particolare.

Vittoria. Nel mio non vi è nè oro, nè argento, ma per dir la verità, è stupendo.