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LA GUERRA 387

Aspasia. Sì, buona giovane, in che cosa posso servirvi?

Orsolina. Ho bisogno della di lei protezione.

Aspasia. Comandate.

Orsolina. Tengo, com’ella sa, una piccola bottega aperta. Guadagno qualche cosetta; sono perciò invidiata, sono perseguitata. È vero che ha qualche bontà per me l’illustrissimo signor commissario, ma desidero ancora il patrocinio di vostra signoria illustrissima.

Aspasia. Poverina! che cosa vendete nella vostra bottega?

Orsolina. Un poco di tutto. Vini, acquavite, rosolini sono i maggiori miei capitali; ma tengo ancora delle galanterie. Osservi quest’astuccio quant’è bellino.

Aspasia. Bello, bello davvero.

Orsolina. È d’Inghilterra.

Aspasia. Si vede. Mi piace infinitamente.

Orsolina. Vossignoria illustrissima è di buon gusto.

Aspasia. Non ho mai veduto un astuccio, che più di questo mi vada a genio.

Orsolina. (Capisco, se n’è innamorata. Ma la voglio far un poco penare).

Aspasia. (Se vuole la mia protezione, me lo dovrebbe donare).

Orsolina. Vede quante belle cose vi sono dentro? (lo apre)

Aspasia. È veramente maraviglioso. Quanto costa?

Orsolina. Chi lo vuole, vai sei zecchini.

Aspasia. Sei zecchini! non vi vergognate chiedere sei zecchini di quest’astuccio? È bello, lo avrei comprato, ma non merita questo prezzo. Ora capisco di che temete. Vendete la roba al doppio di quel che costa, e vorreste ch’io proteggessi un’usuraia, una fraudolente? Lo dirò io stessa a mio padre, vi farò chiudere la bottega, vi farò scacciar dall’armata. Le robe si hanno da vendere a giusto prezzo. Vogliamo il giusto, ed io non proteggerò un’ingiustizia.

Orsolina. Perdoni, illustrissima signora: ho detto che, chi lo vuole, val sei zecchini: ma non ho già pensato che ella lo volesse comprare. S’ella lo comanda, si serva1.

  1. Edd. Pasquali, Zatta ecc.: si servi.