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LA GUERRA 377

SCENA II.

Don Polidoro e detti.

Polidoro. Chi mi vuole; chi mi domanda?

Conte. Signor commissario, favorite prestarmi venti zecchini.

Polidoro. Venti zecchini?

Conte. Venti zecchini.

Polidoro. Per chi?

Conte. Per me.

Polidoro. Per giocare?

Conte. Per giocare.

Polidoro. Venti zecchini?

Conte. Venti zecchini.

Polidoro. Benissimo.

Conte. Fate presto.

Polidoro. Aspetti un poco. (tira fuori un libretto di memorie)

Conte. Non mi fate perdere la pazienza.

Polidoro. Favorisca. Il signor Conte Claudio, Tenente di cavalleria, deve dare a conto delle sue paghe zecchini 60. (leggendo)

Conte. E venti ottanta.

Polidoro. Favorisca una cosa sola.

Conte. E che cosa?

Polidoro. Una sicurtà.

Conte. A un cavaliere par mio si domanda una sicurtà? Sono uffiziale, son galantuomo, e nell’armata son conosciuto.

Polidoro. Benissimo.

Conte. Benissimo, benissimo, e mi domandate una sicurtà?

Polidoro. Io non le domando la sicurtà del danaro.

Conte. Di che dunque?

Polidoro. Che domani mattina una palla di moschetteria o di cannone non coroni le glorie del signor Conte, e non porti i miei venti zecchini nei fortunati elisii degli eroi militari.

Conte. Se morirò, sarà tutto finito.

Polidoro. Benissimo.

Conte. E se viverò, vi sarò debitore di cento zecchini; a questo patto, me li volete dare?