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Ella lo guarda, e ride, e poi gli dice in faccia:

Partita da Livorno, dove di voi mi accesi.
Getto via la memoria di tutti i Livornesi.
Il cavalier stordito scopre il sofferto inganno;
Parte, e partendo esclama: donna crudel, mio danno.
(parte)
Conte. La donna io non condanno, che fece un simil tratto.
Se non nella maniera aspra con cui l’ha fatto.
Per altro le persone use a cambiar paese,
A cambiar sono pronte una passione al mese.
E non è poca sorte il poter dir: la tale.
Finchè a me fu vicina, fu nell’amarmi eguale;
O almeno seppe fìngere un cor sincero e grato,
Onde con essa il tempo non ho male impiegato.

SCENA II.

Carluccio e detto.

Carluccio. Servo del signor Conte.

Conte.   Carluccio, vi saluto.
Ben tornato da Genova. Quando siete venuto?
Carluccio. Arrivai questa mane.
Conte.   La recita andò bene?
Carluccio. Più a Genova non mi tirano1 nemmen colle catene.
Conte. Perchè?
Carluccio.   Quell’impresario meco ha sì mal trattato.
Che se mai più ci torno, vogl’esser bastonato.
Io solo ho sostenuto col mio cantar l’impresa.
Tutti la mia, dicevano, voce dal ciel discesa;
E l’avido impresario, con ruvide maniere,
Obbligarmi voleva cantar tutte le sere.
Io, della prima donna perduto innamorato,
Cantar non avea voglia, quand’era disgustato,

  1. Così il testo. Forse è da leggere Genoa.