Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1913, XVI.djvu/74

68 ATTO QUARTO
Qua lo farò venire, farò che parli seco.

(Voglio trovarne uno, che se l’intenda meco).
(da sè, accennando colle dita che vuol danari)
Conte. Posso sentir quest’altro, senza operar niente.
Bigolino. Perdoni. Ha qualche lite?
Conte.   Non ho lite al presente.
Teco vo’ confidarmi; so che ami il tuo padrone;
Voglio su certo affare sentir la tua opinione.
Bigolino. Sono un povero giovine, ma son di cuor sincero.
Conte. (Esce dagl’ignoranti talora un buon pensiero). (da sè)
M’insinua don Emilio, che del mio meglio ha cura,
Che a lui de’ beni miei rilasci una procura.
Ti par che dica bene?
Bigolino.   Rispondo in due parole:
Il signor don Emilio assassinar vi vuole.
Conte. Perchè?
Bigolino.   Nel stato vostro, se fosse anche maggiore,
Bisogno non avete d’alcun procuratore.
Chi il maneggio del vostro vi vuol levar di mano,
O cerca trappolarvi, o credevi un insano.
Voi siete un uom di garbo, e siete assassinato.
Con vostra permissione, licenzio l’avvocato. (parte)

SCENA IV.

Il Conte Orazio, poi Raimondo, poi varie persone cariche di varie merci.

Conte. E ben che si licenzi, se è un uom poco sincero;

Ma chi sa poi se dicasi da Bigolino il vero?
Chi sa ch’ei non mi voglia trarre dai lacci altrui,
Per condurmi egli stesso nei trabocchetti sui?
Tutti son miei nemici: uno quell’altro accusa;
Ho ha sospettar di tutti, ho la ragion confusa.
Che vivere infelice in mezzo a’ miei tesori!
Trame, sospetti, inganni producono quegli ori.