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448 ATTO PRIMO
Rigadon. Ho da fare le spese alla famiglia,

Ho da insegnar, ho d’arrischiare il mio?
Questa cosa, per dirla, mi scompiglia.
Lucrezia. Fatel, per carità.
Rigadon.   Son uomo pio,
Lo farò volontier; ma con un patto.
Che trenta volte la metà vogl’io.
Lucrezia. Dunque la figlia mia può far contratto
Finchè vive ballar per il maestro,
Senz’alcuna speranza di riscatto.
Rigadon. Io non intendo mettervi il capestro.
Se non vi piace, andate alla buon ora,
Ch’io per mercede le ragazze addestro.
Lucrezia. (Tu che dici, Rosina?)
Rosina.   (Eh sì signora.
Accordiamoli pur quel ch’ei domanda.
Simili patti si son voluti ancora).1
Rigadon. E se qualcuno a regalar vi manda,
Consegnatelo a me subitamente,
Ch’io ve lo voglio mettere da banda.
Poichè oltre al mangiar perpetuamente,
Occorron cento coserelle intorno;
E i’ non voglio per ciò spender niente.
Rosina. Dice ben, dice bene. (Verrà il giorno
Che farò a modo mio).
Lucrezia.   Resta accordato,
E farem fra due ore a voi ritorno.
Rigadon. Eh vi è tempo; già il mese è principiato.
Lucrezia. No no, verremo a desinar da voi.
So che degli altri voi avete invitato.
Rosina. Serva, signor maestro.
Rigadon.   Un giorno poi
Di qualche buon precetto salutare
Parleremo in segreto fra di noi.

  1. Così il testo, nell’ed. Zatta.