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LA DONNA FORTE 323
Fabrizio.   Signore, se traditore io sono,

E dal cielo e da voi non merito perdono.
Ma della mia innocenza marche onorate io porto;
E voi, pria d’ascoltarmi, mi condannate a torto.
Eccomi a’ piedi vostri; s’io fossi un traditore,
Chi è che condur mi sforza dinanzi al mio signore?
Fuggirei dal castigo, s’io fossi un delinquente;
Ma il rigor, la giustizia, non teme un innocente.
Marchese. Alzati. (mostrandosi quasi convinto)
Fabrizio.   Vi obbedisco.
Marchese.   Dov’è la rea celata?
Fabrizio. La vedrete fra poco.
Marchese.   Oh l’avess’io svenata!
Fabrizio. Quella povera dama rea tuttavia credete?
Marchese. Tu lo porresti in dubbio?
Fabrizio.   S’ella è rea, lo vedrete.
Marchese. Rea la credei finora; ma l’ultimo furore
Rea vieppiù la dimostra, e perfida di cuore.
La sua colpa conosce; non cura il pentimento.
Cerca sfuggir la pena, si espone ad un cimento.
E di calmare invece l’ira mia provocata,
Con temerario ardire la colpa ha replicata.
Fabrizio. Favorite, signore, di trattenervi un poco.
Parto e ritorno subito. Calmate il vostro foco.
Vado al caffè vicino. Per carità, fermatevi...
(Cieli! è qui don Fernando). Presto, signor, celatevi.
Marchese. Perchè celarmi io deggio?
Fabrizio.   Tutto da ciò dipende.
Necessario il consiglio al vostro onor si rende.
Per un momento solo fidatevi di me.
Marchese. Ah se m’inganni, il colpo cadrà sopra di te.
(si nasconde in un altra camera)