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20 ATTO PRIMO
Bigolino. Il mio padrone infatti visse finor meschino.

Lo zio sordido avaro non davagli un quattrino.
Ma inaspettatamente è morto ab intestato,
E diecimila scudi di rendita ha lasciato.
Raimondo. E dicono che in casa fossevi del grand’oro.
Bigolino. Per bacco! nello scrigno ha lasciato un tesoro.
Tante doppie ho veduto, tanti zecchini e tanti,
Tanti ducati e scudi, che non saprei dir quanti.
Tutta una notte intera in camera serrato
A numerar monete col mio padron son stato.
Quasi mi facea ridere. Il morto, poveretto.
Era insepolto ancora, ancor nel proprio letto;
E il padrone ogni tratto all’uscio si voltava.
Guardando se il defonto ancor risuscitava.
Raimondo. Quel vecchio in mezzo all’oro si è ognor tiranneggiato.
Poscia miseramente è morto, e lo ha lasciato.
Questo è il fin dell’avaro.
Bigolino.   Questo è quel che succede
A chi senza alcun merto benefica un erede.
Raimondo. Far buon uso conviene dei beni della sorte.
Meglio è dar dieci in vita, che donar cento in morte.
Bigolino. Ed ei, per risparmiare, fin si astenea dal vino,
E dato non avrebbe a un povero un quattrino.
Raimondo. Dai sordidi risparmi qual frutto ebbe l’avaro?
Leverà il signor Conte la ruggine al danaro.
Quello che ha il zio acquistato vivendo parcamente,
Consumerà il nipote scialando allegramente.
E fortunati i primi che a lui si accosteranno,
E a consumare e a spendere l’erede aiuteranno.
Bigolino carissimo, parlo per me e per voi:
i primi, i fortunati, potressimo esser noi.
Già dal destin comune non può fuggire il Conte;
A eredi di tal sorta le insidie sono pronte.
Se noi non lo facciamo, lo saprà fare un altro,
Di noi meno discreto, di noi forse più scaltro.