Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1912, XIV.djvu/260

252

commèdia la veste poetica: seguirono il primo P. J. Martello (Che bei pazzi! 1715) e il march. Obizzi (la Cabala 1741); il secondo Scip. Maffei, Vinc. Martinelli (Filizio medico 1729), Luisa Bergalli (vers. di Terenzio 1727-31, Avventure del poeta 1730), G. Baruffaldi (il Poeta 1734) e Becelli (1740 e seguenti). Il marchese Gorini Corio ( 1729 e seguenti) frammise agli endecasillabi qualche settenario. Quanto al Goldoni, si può dire che niente lasciò d’intentato nella fecondissima sua opera teatrale, sia per l’indole un po’ volubile, sia per la necessità di dover variare materia e di trasformarsi presso il pubblico del Settecento, sempre avido di novità. Di qui certe contraddizioni sue è dei suoi rivali, il Chiari e il Gozzi.

Un tutore che vuol sposare la propria pupilla, e resta deluso: ecco un tema assai vecchio, famoso in Francia dopo Molière (École des maris 1661), dopo Dancourt (Tuteur 1695), dopo Regnard (Folies amoureuses 1704) e carissimo anche al nostro teatro per musica; tema disprezzato dal Goldoni nel 1752 (v. il Tutore virtuoso nel voi. VII: non so che fosse il Tutore del barcaiolo Ant. Bianchi recitato, pare, nel 1751), accolto invece qualche decennio prima dal Fagiuoli (Ciapo tutore). — Fin dall’autunno del ’34 il giovane Dottor veneziano aveva riso di un tutore innamorato in un intermezzo che porta il titolo medesimo della presente commedia, la Pupilla (v. Edg. Maddalena, a p. 415 del voi. VII), come una commediola del Fagan, recitata con plauso a Parigi nel giugno di quello stesso anno, da madamigella Gaussin. Ma questa volta il Goldoni, per consolare più presto messer Luca, fa sopraggiungere una nutrice e intervenire un riconoscimento, sì che l’«amoroso fomite» del vecchio si muta in lieto affetto paterno. Del resto nè il tutore è qui un rustego, nè Caterina una scaltra, o una sconoscente, anzi l’ingenuità della fanciulla (rammenta il Lùder l’Ecole des femmes di Molière: v. C. G. in seinem Verhaltnis zu Molière, Oppeln, 1883, pp. 43-44) getta un barlume d’arte in questa breve commedia, di noiosa lettura. Quaglia invece, sotto l’appellativo di «scroccone», appartiene alla interminabile famiglia dei servi astuti (privo di comicità sembra a R. Schmidbauer, Das Komische bei G., Monaco, 1906, p. 138); la serva Placida, maestra d’amore in stile modesto, allorquando lusingasi di cambiar stato e crede confortare l’abbandonato Panfilo, ci richiama vagamente, fra i ricordi non lontani, alla Serpilla nella Cabala dell’Obizzi, dove pure s’incontra un tutore che cerca di far sua la pupilla. Non scopro invece imitazioni dalla Carlotta dell’Amenta, nè parmi esista affinità vera e propria fra le due commedie (come afferma il Landau, Geschichte der italienischen Litteratur im 18 Jahrhundert, Berlino, 1899, p. 422).

In Italia ben pochi si curarono di questa Pupilla; nessuno poi, che io sappia, avverti il merito suo principale, di essere cioè fra tutte le composizioni non dialettali del Veneziano quella più immune da improprietà e impurità di linguaggio (v. Mémoires, Le: «Je me suis rapproché un peu plus des Ecrivains du bon siècle»). Che importa? Ci pare anzi che il Goldoni si burli un poco di noi, come l’Amenta, come il Maffei, come il Baruffaldi, come il Rota nel teatro letterario nel Settecento, e voglia ricoprire d’una falsa veste luccicante la povertà dei personaggi.

Vero è che l’autore fu costretto a confessare nelle Memorie, che la Pupilla non era stata mai rappresentata. Un bizzarro scrittore di romanzi e di