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LA VILLEGGIATURA 45


Libera. Eccome! Dicono ch’io sono la favorita.

Menichina. E me? Mi chiamano la figlia dell’oca bianca.

Libera. Vedete il paggio, che viene con non so che cosa nelle mani.

Menichina. Andrà alla tavola facilmente. Vorrei far chiamare don Eustachio.

Libera. Sì, facciamolo; ma con maniera, che non se ne avveda.

SCENA II.

Zerbino con un tondo o altra cosa simile, con cose dolci; e dette.

Zerbino. Oh giovanotte, vi saluto.

Libera. Addio, Zerbino.

Menichina. Dove andate ora?

Zerbino. A portar questi dolci.

Menichina. Alla tavola?

Zerbino. Sì, alla tavola. Mi hanno mandato a prenderli dalla credenza.

Libera. Sarà stata la padrona, per fare onore al suo forestiere.

Zerbino. Oibò. È stato quello scroccone di don Ciccio, che li ha domandati. Dopo aver mangiato come un lupo, ha detto che non vi erano dolci in tavola, che se non mangia un poco di biscotteria sul fine, gli pare di non aver desinato. Il padrone si è posto a ridere, e mi ha mandato a prendere queste galanterie per soddisfare quel ghiottonaccio.

Libera. Ehi, dite: sono vicini a tavola donna Lavinia col forestiere?

Zerbino. Oibò; sono lontanissimi anzi. Uno da un capo, e uno dall’altro.

Menichina. L’avranno fatto per guardarsi meglio nel viso1.

Libera. Siete ben maliziosa, la mia Menichina.

Menichina. Non si fa così anche da noi? Chi si vuol bene, non istà mai da vicino. Sono le occhiate che giocano2.

Zerbino. Così fate voi altre ragazze in villa; ma in città tutto all’opposto: chi si vuol bene, procura starsi d’appresso, per poter giocar di piedino.

  1. Zatta: L’avranno fatto per il suo fine.
  2. Mancano queste parole nell’ed Zatta.