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L'AMANTE DI SÈ MEDESIMO 479

SCENA III.

La Marchesa Ippolita.

Non vi è meglio di lui, se si fa fare apposta,

Ma io con tutto questo non sentomi disposta.
Lo so, lo so chi è il Conte; pur di buon occhio il veggio.
Disse pur ben, chi disse che ci attacchiamo al peggio.
Ma l’occhio che lo guarda, è un occhio traditore,
E terrò bene in guardia contro gli sguardi il core;
Che si fa presto a dire un sì senza consiglio.
Che forma eternamente di femmina il periglio.
Vuol divertirsi il Conte? Ben, mi diverto anch’io.
L’amor suo è passaggiero? tal sia con esso il mio.
Vien l’amica: non so, se sia pacificata.
Voglio spiar qua intorno, girando innosservata. (parte)

SCENA IV.

Donna Bianca ed il signor Alberto.

Alberto. Mo cara donna Bianca, ghe l’ho pur dito avanti,

El Conte no vol smorfie, el Conte no vol pianti.
La me dise, Signor, non piango, vel prometto;
E pò ghe vedo sempre ai occhi el fazzoletto.
Bianca. Se foste nel mio caso! Basta, mi sforzerò.
Ma il Conte non si vede? Dove sarà?
Alberto.   Nol so.
(El sarà a far el matto, sto sior senza giudizio).
Bianca. Eh, questo suo ritardo è un bruttissimo indizio.
Voi con belle parole badate a speranzarmi,
Ma il cuor mi fa temere, nè il cuor suol ingannarmi.
Alberto. Mo za, vualtre donne gh’ave sta fantasia,
Che el cuor ve diga tutto: oh che malinconia!
Voleu che mi ve spiega cossa che xe sto cuor,
Che dise e che desdise, segondo el vostro umor?