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362 ATTO QUARTO
E lieto sceglierei viver fra lacci ancora,

Pria di smarrir la vista del bel1 che m’innamora;
Provandosi2 per questo il mondo e i beni suoi
Prezzo d’opinione ricevono da noi,
Stimandosi più quello che più diletta e piace,
Trovando sua ricchezza il cuor nella sua pace.

SCENA II.

Damone ed il suddetto.

Damone. Cerco il padron per tutto, e lo ricerco invano.

Saprà dov’è Terenzio, ch’è un membro di Lucano.
Terenzio. Sì, amabile Damone, lo so dov’ei si trova:
Sollecita d’amore per me l’ultima prova.
Con Lelio e con Scipione, e col pretor di Roma,
Accelera, concerta l’onor della mia chioma.
Damone. Oh Roma fortunata, poichè fra’ lustri suoi
Onorerà Terenzio la feccia degli eroi!
Terenzio. Così sciolto da’ lacci fosse Damone ancora,
Che ’l numero infelice de’ servi disonora.
Damone. Per me più stimo e apprezzo spennar polli e pavoni,
Dell’arte, onde ti vanti, de’ mimi ed istrioni.
Terenzio. Che dir degl’istrioni, che dir de’ mimi intendi?
Di questi e quelli il vanto, il merto non comprendi.
Ister, che fra gli Etruschi dir vuol giuoco da scena,
Diede agli attori il nome della commedia amena;
Mimus, che imitatore dir vuol, diè nome ai mimi,
Quei che ciò fan coi gesti, chiamati pantomimi.
Damone. Uomini che di fama, che degli onor son privi,
Satirici, impudenti, scandalosi, lascivi.
Terenzio. Roma per mie commedie a me reca gli onori,

  1. Zatta: ben.
  2. Zatta: Provando che ecc.