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254 ATTO PRIMO


Lucrezia. Adagio un poco. Vi è una difficoltà.

Florindo. Che difficoltà ci trovate, signora?

Lucrezia. I ventimila scudi di contraddote.

Florindo. Li ho promessi e li darò.

Lucrezia. Ci vuole il notaro.

Florindo. A me non credete?

Lucrezia. Vi credo; ma le cose s’hanno da fare come van fatte.

Laurina. Eh via, signora zia, a me non importa...

Lucrezia. Se non importa a voi, importa a me.

Florindo. Ora, come abbiamo a fare a trovare il notaro?

Lucrezia. Cercatelo immediatamente. Riconducetelo qui, e terminiamo una volta questa faccenda.

Florindo. E se non lo trovassi?

Lucrezia. Non ci sarebbe altro rimedio, per far più presto, che portar qui il denaro.

Florindo. Ma questo poi.

Lucrezia. Non vi è altro. Ve la dico in rima: o trovatemi il notaro, o contatele il denaro.

Florindo. Dunque me n’andrò.

Lucrezia. Sì, e fate presto a tornare.

Florindo. Pazienza.

Laurina. Chi sa se saremo più in tempo.

Florindo. Signora donna Lucrezia, se per causa vostra mi convenisse perdere la mia Laurina, giuro al cielo, farei qualche grande risoluzione. (parte)

Laurina. Se perdo Florindo, signora zia, mi vedrete dare nelle disperazioni. (parte)

Lucrezia. Bellissima! Di questo loro amore, di queste loro nozze, voglio profittare ancor io. Voglio, se posso, risparmiar la dote della nipote. Io sono l’erede di mio fratello, e se non iscorporo questa dote, tanto è maggiore la mia eredità. Così potrò vivere con più comodi, e se morisse mio marito ch’è vecchio, potrei sperare di rimaritarmi con qualche personaggio di qualità.

Fine dell’Atto Primo.